L’autismo non ci ferma. "Aut Out", così abbiamo costruito un’estate su misura per i ragazzi nello spettro

Filippo compirà 14 anni a settembre. Ha appena finito la terza media, ama andare in bicicletta e stare all’aria aperta facendo attività. È curioso, socievole, e come tanti adolescenti ama passare il tempo con gli amici. Tra loro c’è solo una differenza, insignificante a dirsi ma che ha effetti sulla realtà di tutti i giorni: Filippo convive con una diagnosi di disturbo dello spettro autistico arrivata quando era piccolissimo. A tre anni ha iniziato a frequentare un centro specializzato a Scandicci: prima terapie “one to one”, due volte al giorno per cinque giorni a settimana; poi, man mano che le competenze crescevano, percorsi in piccolo gruppo, fino a un nucleo di coetanei con obiettivi mirati di autonomia personale.

“D’inverno – racconta il papà, Francesco Dionori – fanno attività per imparare a cucinare, rigovernare, fare compiti da soli. Oppure fanno da tutor ai più piccoli. Questo ha cambiato anche il modo di vivere l’estate. A casa le autonomie conquistate aiutano, ma fuori è un’altra storia: trovare attività adatte è difficile, molte chiudono in questi mesi e per quelle delle associazioni bisogna muoversi già a febbraio o marzo. Se arrivi tardi, rischi di restare senza posto”.
Da questa difficoltà nasce “Universo Autismo”?
“Sì. L’abbiamo fondata lo scorso anno, inizialmente per unire le forze tra genitori e fare pressione sulle istituzioni per ottenere i rimborsi delle terapie. Poi sono arrivati contributi inaspettati – anche da banche importanti – e ci siamo trovati a poter gestire fondi. Siamo passati dall’essere un collettore di informazioni tra famiglie a diventare anche promotori e, in alcuni casi, erogatori diretti di servizi”.
E così è nato il progetto “Aut Out”.
“Il nome significa “Autismo fuori”. Perché oltre alle terapie, i nostri figli hanno bisogno di vivere esperienze comuni, di uscire, di sentirsi parte della comunità. Grazie a una donazione consistente, abbiamo organizzato un programma di uscite estive: dieci già realizzate, più altre quattro a settembre. Abbiamo portato i ragazzi al parco avventura, a Pisa per una gita culturale, al museo paleontologico di Empoli, a fare trekking lungo il Sentierelsa… attività semplici, “dell’ordinario”, che spesso neanche i ragazzi neurotipici fanno più. E che invece per i nostri hanno un valore enorme”.

Quanti ragazzi hanno potuto partecipare?
“Sette, su oltre 90 che seguiamo tra Firenze e altre zone. Purtroppo i costi ci hanno imposto una selezione. Abbiamo coinvolto terapisti e analisti del comportamento per costruire le attività: il progetto è costato 10mila euro, coperti da fondi privati. Ma la qualità e la sicurezza vengono prima di tutto”.
Quanto costa normalmente un’estate di attività per un ragazzo nello spettro?
“Tantissimo. Nel privato, due settimane piene in un centro specializzato possono costare 750-800 euro. Con Aut Out, dieci uscite ci sono costate 25 euro l’una, quindi 250 euro in totale per attività dalle 8 alle 14, comprensive di ingressi e assicurazione. Durante l’anno, solo per le terapie di Filippo, spendo circa 800 euro al mese: la Regione rimborsa qualcosa, ma bisogna fare domanda e superare una commissione molto selettiva. L’impressione è che cerchino di finanziare il meno possibile”.
E quando il centro chiude, come organizzate le giornate?
“È una corsa a incastri. Ci alterniamo con le ferie: io ne prendo una parte, mia moglie un’altra, così da coprire le settimane in cui non c’è nulla. A volte Filippo viene con me in ufficio: facciamo compiti, un po’ di lettura, magari Nintendo per passare la mattinata. Altre volte resta con mia moglie, che però lavora in smart working ed è spesso in conference call. Non possiamo contare su aiuti familiari, se non una nonna che vive a Montevarchi. Questo, soprattutto d’estate, pesa”.
Avete mai incontrato discriminazioni in vacanza?
“Più che discriminazioni vere e proprie, direi difficoltà di comprensione. Ci piace molto viaggiare e abbiamo iniziato a portare nostro figlio in aereo fin da piccolo, scoprendo che ama la montagna, invece al mare si annoia molto, quindi magari emergono maggiormente le sue stereotipie. All’estero ho sempre trovato maggiore attenzione e meno pregiudizi. In Italia, fino a pochi anni fa, anche chiedere un biglietto ridotto per disabilità era un calvario: dovevi convincere l’addetto della condizione di tuo figlio. Ora qualcosa sta cambiando: ci sono programmi più inclusivi, come quello dell’aeroporto di Firenze per chi ha disabilità cognitive. Ma non ovunque. Negli scali italiani, ad esempio, per usare le corsie preferenziali se non sei in sedia a rotelle fanno storie, mentre in altri Paesi basta la disability card”.
Lo sport sembra avere un ruolo importante nella vita di Filippo.

“Molto. Lo aiuta a calmarsi e autoregolarsi. Fa due volte atletica e una volta tennis a settimana, ha fatto nuoto per anni. E poi ama la bici: nel 2022 e 2023 abbiamo organizzato vacanze in bicicletta grazie a un crowdfunding, in Trentino e sulla Costa dei Trabocchi. Tornava stanco, ma sereno. E a casa era più tranquillo”.
Oltre allo sport, ha altre passioni?
“Sì, scrive piccoli diari – un’attività iniziata con la logopedista tre anni fa – e come tanti adolescenti ama la Nintendo. Ultimamente cerca molto la compagnia degli amici, ma d’estate è difficile organizzare uscite con loro, anche per questo cerchiamo di sopperire con le attività dell’associazione”.
A settembre inizierà l’istituto agrario. Una scelta mirata?
“Diciamo ragionata da me e da sua mamma. Filippo ama stare all’aperto e lavorare nell’orto, attività che già sperimenta al centro. Dopo tre anni di medie a 8 chilometri da casa, in una scuola inclusiva ma lontana, abbiamo scelto l’agrario vicino. L’ufficio disabilità è molto organizzato e abbiamo sentito esperienze positive di altri ragazzi. Speriamo che, nel giro di qualche anno, possa andare a scuola da solo”.
Cosa ti auguri per il futuro di “Universo Autismo”?
“Che quest’anno non resti un episodio isolato. Abbiamo dimostrato che un’estate diversa è possibile: accessibile, inclusiva, stimolante. Ma il vuoto istituzionale è enorme e non si può colmare solo con i fondi privati. Finché ci saranno famiglie disposte a rimboccarsi le maniche i nostri ragazzi continueranno a uscire, a incontrarsi, a vivere. E questo, per me, vale ogni sforzo”.
Luce